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Le risposte della scienza:
ipotesi sulla formazione
dell'immagine sindonica
 
 
 

Ipotesi scientifiche: bassorilievo
Nel 1982, veniva pubblicato il lavoro sperimentale condotto sulla Sindone dall'antropologo barese Vittorio Pesce Delfino [1]. Secondo questo studioso, l'immagine presente sulla Sindone sarebbe stata prodotta con un bassorilievo riscaldato a 220°C da un falsario che avrebbe poi applicato, con un pennello, dell'ocra per simulare il sangue. A dar manforte al Pesce Delfino, nello stesso anno scese in campo anche Carlo Papini, direttore editoriale di una casa editrice valdese: questi studiosi pensano «che il tessuto di lino della Sindone sia stato "cotto" lentamente (o "strinato") da un abile artigiano tenendolo accostato mediante un apposito telaio, per un certo tempo, ad un rilievo metallico fortemente riscladato, tratto per normale fusione dal calco di un cadavere umano». Per quanto riguarda le macchie ematiche, sarebbe stato usato «probabilmente sangue animale» [2]. Lo stesso Papini ricorda come Pesce Delfino, una volta scoperto che il rosso era vero sangue e non ocra, «in un secondo tempo ha anche ammesso che l'artigiano bizantino avrebbe potuto facilente utilizzare sangue umano» [3].
La teoria proposta dai due studiosi italiani si basa sulle somiglianze esistenti fra le leggere strinature e l'immagine sindonica, che è dovuta alla ossidazione, disidratazione e coniugazione della cellulosa componente il lino. Le fibre lievemente strofinate infatti sono traslucide e assomigliano molto al colore delle fibrille dell'immagine sindonica.
Papini si azzardò anche nel proporre una datazione: «Sembra quindi si debba concludere che la Sindone di Torino è stata prodotta in Anatolia, nell'Impero bizantino, da un "laboratorio" appositamente attrezzato, verso la fine del XIII secolo, con l'intento preciso di creare una "reliquia"». Nel frattempo aspettiamo che vengano trovati altri prodotti "made in Anatolia" per poter fare un confronto tra le tecnologie usate, raccomandiamo al Papini di informarsi meglio sui ruoli svolti dai personaggi coinvolti nella datazione del 14C, dal momento che Baima Bollone, «escluso da tutte le analisi scientifiche più importanti», viene ritratto in una fotografia prelevare dei fili dalla Sindone negli importantissimi esami del 1978 [4].
Appena un anno dopo, oltre oceano, il Senior Reserach Fellow CSICOP, Center for Inquiry, Joe Nickell, ex-prestigiatore privato americano, propose una variante: il falsario avrebbe utilizzato un bassorilievo strofinato con una vernice a secco e ricoperto di ossido di ferro con tracce di acido solforico, su cui avrebbe applicato il lenzuolo [4]. Col tempo la vernice si sarebbe staccata dal telo, e Nickell ebbe l'accortezza di aggiungere "non prima di aver procurato le lievi impronte nella cellulosa del telo". Le macchie si sangue sarebbero state aggiunte in seguito, utilizzando forse tempera (sulla base degli studi di McCrone), forse sangue vero. In ogni caso Nickell definì i rivoli di sangue «rivoletti molto artistici che scendono graziosamente dalle ferite», giudicando sostanzialmente impossibile la presenza di un sangue così rosso dopo 2000 anni.

Confutazione della teoria
Appurato che sulla Sindone, NON sono presenti tracce di pigmenti pittorici di qualsivoglia origine (vd. pagina "la teoria della pittura"), le tesi degli studiosi riguardanti l'eventuale uso di un bassorilievo per la formazione dell'immagine si scontrano con gli inevitabili problemi di esecuzione.
Le dimensioni del bassorilievo avrebbero dovuto essere, ovviamente, di oltre 4 metri: viene facile immaginare lo scoramento di questo falsario quando ancora alla 50ª prova non era stato in grado di tenere perfettamente teso il lenzuolo...
C'è inoltre il problema della fluorescenza rivelato dagli esami fisici condotti sulla Sindone: l'immagine non emette fluorescenza, a differenza delle strinature che risultano fluorescenti. Inoltre, gli esami condotti nel novembre del 2000, e resi noti Il 4 maggio 2001 in occasione della festa liturgica della Sindone dall'Arcivescovo di Torino Cardinal Poletto, confermarono che sul lato posteriore della Sindone non era presente alcuna traccia di immagine. La figura dell'Uomo della Sindone era dunque estremamente superficiale, interessando solo due o tre fibrille del filo. Al contrario, erano ben visibili le tracce di sangue, che com'era naturale avevano oltrepassato il lenzuolo. L'esame fu condotto per mezzo di una modernissima tecnica scanner dal professor Soardo dell'Istituto Galileo Ferraris di Torino. L'immagine non può dunque essere stata prodotta da una strinatura, la quale crea un'immagine visibile su entrambi i lati di un telo. Inoltre, questa tende a comparire nel volgere di pochi mesi, laddove secondo l'ipotesi degli scettici la Sindone sarebbe stata prodotta 700 anni fa.
Un altro problema di ardua risoluzione riguardava le macchie di sangue. Il falsario avrebbe dovuto aggiungerle successivamente alla realizzazione dell'immagine, ma utilizzando un pennello lungo oltre 1m, dal momento che oggi l'immagine sulla Sindone non è visibile da una distanza inferiore ai 2m: utilizzando questo lungo pennello, avrebbe dovuto mettere il sangue nelle zone anatomicamente corrette, senza lasciare tracce di pennellate e con modalità e caratteristiche sconosciute all'epoca della realizzazione. Veramente questo falsario era uno tra i geni più grandi che la storia abbia mai conosciuto, in grado di anticipare tecniche e tecnologie che sarebbero state scoperte solo secoli più tardi (e nonostante questo è rimasto anonimo, e per giunta si è portato nella tomba la sua scienza: non oso inoltre pensare la triste fine toccata ai suoi aiutanti, probabilmente eliminati per evitare che diffondessero quelle straordinarie conscenze...)!!!
Altro problema: gli scienziati hanno appurato che sotto le macchie di sangue, le fibrille insanguinate non sono ingiallite: in sostanza, il sangue ha "protetto" le fibrille sottostanti mentre si formava l'immagine del corpo. Siamo dunque di fronte ad un paradosso: se il sangue è stato posto prima, oltre alle evidenti difficoltà di far combaciare le macchie di sangue sui punti giusti, ci sarebbe l'inevitabile alterazione del sangue stesso a diretto contatto con il bassorilievo riscaldato a 220 °C. Se il sangue fosse stato posto dopo, non si comprenderebbe come mai proprio sotto le macchie di sangue non è presente l'immagine. Come ha fatto il falsario a proteggere proprio quelle zone??? E come è riuscito in seguito a distanza di oltre 1m a riempire quei vuoti senza sbagliare di neanche un millimetro con un pennello così lungo???
Ovviamente Delfino e Pesce e Carlo Papini ebbero una felice intuizione: il sangue non poteva essere presente sul telo prima dell'incendio del 1532, poiché si sarebbe volatilizzato con il calore raggiunto all'interno della cassetta. Questa scappatoia si rivelò ben presto un vicolo cieco: infatti il reliquiario d'argento fuse parzialmente e in alcuni punti il lenzuolo si è carbonizzato; allo stesso modo si è bruciato il sangue, ma solo in quei punti. Ma come spiegare la salvezza della stoffa a contatto con l'argento fuso? Sappiamo che l'argento passa dallo stato solido a quello liquido una volta raggiunga la temperatura di 960,8 °C. Una risposta a questo problema l'ha data il professor G. Tessiore: «L'argento non si usa puro ma in lega 800, e fonde sui 770°; [...] La temperatura all'interno della teca non dovette sorpassare i 280°, ma avvennero ugualmente fenomeni di parziale distillazione secca con diffusione di sostanze catramose volatili. [...] Io suppongo che le sostanze opacizzanti siano state assorbite all'interno delle fibrille, e proprio ad esse si dovrebbe l'apparente ringiovanimento al radiocarbonio» [5]. Le esperienze fatte da Mario Moroni suggeriscono una temperatura esterna di 550° mentre i valori medi regsitrati all'interno erano di 190° per il cofano e 170° per la tela ripiegata [6]. Altri studiosi propendono ad alzare la temperatura fino a 400 °C per le aree bruciacchiate. Da notare che nella cassa chiusa, nonostante la temperatura elevata, la tela e il sangue non sono bruciati per mancanza di ossigeno. Nelle zone adiacenti alle bruciate si nota un diverso grado di alterazione in proporzione alla temperatura raggiunta.
È anche interessante il fatto che l'immagine, invece, non subì alcuna alterazione nelle vicinanze delle bruciature, a riprova del fatto che non solo sono assenti pigmenti minerali, come già si è detto, ma manca anche qualsiasi pigmento organico, che si sarebbe trasformato in maniera evidente con il calore.
Si potrebbero fare moltissime altre considerazioni contrarie all'ipotesi del bassorilievo. Ne citeremo brevemente alcune: come poteva il falsario mettere sulla Sindone alcuni particolari invisibili ad occhio nudo, come alcuni segni di flagello sottili come graffi e il terriccio ai talloni, alle ginocchie e al naso? Come spiegare la successiva aggiunta di pollini raccolti in giro per il mondo, le tracce di aromi usati per la sepoltura? Come spiegare la sua scelta di spacciare come lenzuolo funerario di Cristo un lenzuolo contenente l'immagine di un corpo decisamente in contrasto con l'iconografia cristiana oramai codificata da diversi secoli? Come faceva a sapere che i chiodi andavano posti nei polsi e non nel palmo delle mani? Infine non avrebbe certamente pensato ad una corona a casco e al traposto del solo patibulum invece dell'intera croce. Come spiegare le asimmetrie e le deformazioni che solo l'avvolgimento di un vero corpo in un lenzuolo con le relative pieghe può spiegare? Impossibile infine, l'applicazione differenziata di sangue venoso ed arterioso nei punti anatomicamente giusti, in un epoca in cui queste conoscenze scientifiche erano ancora di là da venire!
L'ipotesi del falsario che opera con un bassorilievo riscaldato, importante cavallo di battaglia degli scettici, è dunque insostenibile e fa acqua da tutte le parti.

[1] Pesce Delfino V.: E l'uomo creo' la Sindone, Bari: Dedalo, 1982.
[2] Papini C.: Sindone, un mistero che si svela, Torino: Claudiana 1982, pp. 20-22.
[3] Papini C.: Sindone, una sfida alla Scienza e alla Fede, Torino: Claudiana 1998, p. 101.
[4] Una documentata smentita delle incredibili affermazioni contenute nel libro («Gesù fu avvolto o rivestito in una "sindon", cioè in un abito probabilmente a forma di toga», p. 17: vi posso assicurare, in qualità di archeologo, di non essere a conoscenza di sepolture di uomini ebrei avvolti in una toga, se qualcuno dei lettori ne conosce è pregato di segnalarmele), citato nella nt. 3, di Carlo Papini può essere letta alla seguente pagina web: http://xoomer.virgilio.it/misalcit/scientometrica.htm (controllato il 30/12/2005).
[5] Nickell J.: Inquest on the Shroud of Turin, Buffalo: Prometheus Book, 1983.
[6] Tratto da Sindon, nuova serie, n. 7, giugno 1994, p. 62.
[7] Barbesino F.-Moroni M.: Apologia di un falsario, Milano: Maurizio Minchella 1997, p. 45. Mario Moroni è impegnato da un ventennio in esperienze e studi riguardanti il Sacro Lino. Membro della British Society for the Turin Shroud di Londra e del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, è autore di numerose memorie presentate a congressi nazionali e internazionali. Francesco Barbesino è laureato in ingegneria industriale, sottosezione di chimica, al Politecnico di Milano e ha lavorato per oltre trent’anni come senior scientist presso il CISE, il Centro Informazione Studi ed Esperienze di Milano, partecipando a numerosi programmi multidisciplinari di ricerca in qualità di esperto di materiali, prove materiali e invecchiamento di materiali polimerici.

 


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    Pagina completata il 30/12/2005
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