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Le risposte della scienza:
ipotesi sulla formazione
dell'immagine sindonica
 
 
 

Ipotesi scientifiche: pittura

L'11 settembre 1980, il microchimico americano Walter C. McCrone, già conosciuto nell'ambiente come contrario all'autenticità della Sindone, in una conferenza alla British Society for the Turin Shroud affermò di avere le prove che l'immagine presente sul telo è un dipinto. Lo scienziato era altresì noto per aver dimostrato la falsità della mappa di Vinland, attestante la conoscenza dell'America da parte dei vichinghi, dopo aver trovato pigmenti a base di biossido di Titanio inesistenti prima del 1917 [1]. Le analisi effettuate da McCrone furono condotte sui nastri donatigli nel 1978 da Ray Rogers, nastri precedentemente utilizzati dagli scienziati dello Sturp [2]. Il microchimico ritenne di aver rinvenuto sui campioni sindonici ossido di ferro molto simile al rosso veneziano (un pigmento pittorico), del vermiglione e del solfuro di mercurio (cinabro). Il legante con i quali questi elementi sarebbero stati "appiccicati" al telo era formato da proteine animali e sarebbe ingiallito poi nel tempo. Alle affermazioni di McCrone aderì quasi immediatamente David Sox, che pochi anni prima era stato segretario della British Society for the Turin Shroud, il quale appena un mese dopo aver abbandonato la BSTS, nel gennaio del 1981 si affrettò a lanciare sul mercato il suo libro The image on the Shroud, che «diede pieno credito alla scoperta di McCrone» [3].
In Italia la teoria della pittura venne formulata anche da Noemi Gabrielli, ex-soprintendente alle gallerie ed alle opere d'arte medievali e moderne del Piemonte, la quale fece parte della commissione che esaminò la Sindone nel 1969. Secondo questa studiosa, l'immagine sarebbe stata realizzata tramite l'applicazione di terre color seppia ed ocra gialla, diluite in un liquido resinoso, su una stoffa bagnata, tesa su un telaio: questo originale, ancora umido, sarebbe stato «steso sulla Sindone, anch'essa ben tesa, e compresso con un peso imbottito, come si faceva per la stampa». Ovviamente la Gabrielli non poté che definire la Sindone «un capolavoro [...] creazione di un grande artista, attivo verso la fine del Quattrocento ed agli albori del Cinquecento, che ha usato la stessa tecnica dello sfumato leonardesco; [...] una versione posteriore di circa 130 anni» alla Sindone in possesso di Geoffroy de Charny [4]. Inutile aggiungere che questa datazione è storicamente improponibile.
La teoria della pittura è stata nuovamente presentata nel 1994 da due professori dell'Univ. di Tennessee (USA), Emily A. Craig e Randall R. Breese [5]. I due studiosi affermano che l'immagine della Sindone può essere realizzata tramite l'utilizzo di un pigmento di ossido di ferro in polvere distribuito con un pennello o premuto con la parte piatta di un cucchiaio di legno, con l'aggiunta di collageno che viene poi sciolto dal vapore di una pentola d'acqua in ebollizione.
Sempre nel 1994, l'ipotesi della Gabrielli viene ripresa da due scrittori inglesi, Clive Prince e Lynn Picknett [6]. La Sindone non sarebbe altro che un autoritratto di Leonardo da Vinci, ovviamente da lui stesso realizzato, fabbricato nel 1492. Secondo gli autori inglesi, Leonardo «potrebbe aver inventato una prima forma di fotografia per creare l'immagine negativa sulla Sindone». Leonardo avrebbe inoltre costruito una primitiva camera oscura, con tanto di lenti e una tela "sensibilizzata" con alcuni ingredienti. Partendo da sale (di cromo) e bianco d'uovo, passando per il succo di limone, arrivano alla sostanza con cui ottengono i risultati «più simili alla Sindone». Per quanto riguarda la perfezione anatomica, i due autori rispondono che «Leonardo aveva avuto un permesso speciale dalla Chiesa per la dissezione dei cadaveri freschi provenienti dagli ospedali». La tela sarebbe stata successivamente lavata in acqua fredda, esposta al calore, infine lavata in acqua calda e detergente. In tal modo sarebbe rimasta solo l'immagine "strinata" e indelebile, con l'aggiunta di qualche ritocco di sangue a completare l'opera (ma se le macchie di sangue furono applicate successivamente, com'è possibile che sotto di esse non sia stata trovata traccia alcuna di un eventuale pigmento?).
Sempre nel 1994 escono i risultati della ricerca condotta da Nicholas Allen, professore di Belle Arti all'Università sudafricana di Port Elisabeth ed esperto di fotografia [7]. Secondo lo studioso, l'immagine sarebbe stata realizzata da un "pioniere medievale" tramite l'utilizzo di una «lente al quarzo, nitrato d'argento e luce solare naturale [ad ottenere] una strinatura del lino indotta chimicamente. La lente sarebbe stata posta a metà strada tra il corpo e il lenzuolo, che doveva essere ad otto metri di distanza». L'immagine sarebbe stata ottenuta per mezzo dell'esposizione al sole, in posizione di verticale, di un manichino o cadavere dipinto di bianco «per un numero imprecisato di giorni» di fronte ad una rudimentale camera oscura contenente il lenzuolo opportunamente trattato con il nitrato di argento. L'immagine ottenuta sarebbe stata fissata mediante l'utilizzo di una soluzione ammoniacale diluita o «probabilmente persino urina».

Condizioni necessarie per dimostrare la teoria
Per stabilire la validità di un'ipotesi di pittura è ovviamente necessaria l'identificazione di tali materiali, però non basta. Occore infatti dimostrare anche:

  1. che essi sono presenti in quantità sufficiente e localizzati in zone tali da giustificare quanto appare all'occhio;
  2. che la loro presenza non si può più semplicemente spiegare con altri processi;
  3. che le conclusioni raggiunte siano in accordo con altri studi effettuati, in particolar modo con le ricerche fisiche e l'analisi di immagine.

Confutazione della teoria
Nonostante la teoria del microchimico americano sia stata molto popolare, spiegheremo come le condizioni sopra evidenziate in realtà non sussistano nel lavoro di McCrone. I vetrini utilizzati furono successivamente analizzati dagli scienziati dello Sturp Heller e Adler, i quali trassero conclusioni molto diverse.

Per individuare le proteine esistevano all'epoca molti tests differenti: quello usato da McCrone era il nero d'amido, un reagente generale che colora intensamente anche la cellulosa pura: dunque le reazioni ottenute non erano dovute a tracce proteiche nel lino ma alla cellulosa stessa della stoffa che accettava la tinta. I risultati non erano dunque affidabili. Inoltre veniva evidenziato come le proteine si trovassero solamente nelle zone sanguigne, mentre erano totalmente assenti nel resto del telo: era impossibile dunque sostenere che nell'immagine del corpo fosse presente un legante proteico ingiallito.
Al contrario il pigmento di ferro era uniformemente presente nelle zone di immagine e di non-immagine: dunque non è il ferro che forma la figura del corpo. Peraltro la maggior parte del ferro presente sulla Sindone è quello legato alla cellulosa, e logicamente si trova in quantità maggiori nelle aree delle impronte sanguigne, dove il ferro dell'emoglobina del sangue si somma al ferro della cellulosa.
L'ossido di ferro invece è presente in una percentuale molto piccola, ed è assente sia dalle zone dell'immagine che dalle zone delle macchie di sangue. Per di più, laddove presente, l'ossido di ferro non presenta alcuna traccia di manganese, cobalto, nichel e alluminio al di sopra dell'1%: può dunque considerarsi puro, mentre gli elementi sopra menzionati sono sempre presenti nei pigmenti di pittura minerale.
Per quanto riguarda il cinabro, che secondo McCrone sarebbe stato causa della colorazione rossastra delle macchie di sangue, l'esame dell'intera Sindone con la fluorescenza ai raggi X non ha rilevato presenza alcuna di pigmenti riconducibili a pittura, men che meno di cinabro.
«È da tener presente che molti artisti hanno copiato dal vero la Sindone, e quindi la presenza occasionale di pigmenti da pittore non è inaspettata; anche perché quasi sempre le copie venivano messe a contatto con l'orignale per renderle più venerabili» [8]. Inoltre, l'esistenza di copie pittoriche, almeno una cinquantina attestate, sono la prova che i dipinti, anche i migliori, sono di fattura modesta e appaiono chiaramente come disegni: tutte quante alle analisi si rivelano composte di pigmenti pittorici, a differenza della Sindone [9].

Per quanto riguarda le altre ipotesi, detto che una volta dimostrata l'assenza di sostanze riconducibili a pigmenti pittorici la teoria decade completamente avendo perso le stesse basi portanti sulle quali si fonda, restano da esaminare anche alcune difficoltà tecniche di realizzazione.
Secondo l'ipotesi Craig-Breese, l'artista per realizzare l'opera avrebbe dovuto utilizzare una scala alta circa quattro metri e mezzo, posta a cavallo del modello, in modo da averne una veduta completa guardando in basso: ma in questa posizione, l'artista avrebbe potuto realizzare un'opera di proporzioni limitate. Le difficoltà tecniche sarebbero aumentate per realizzare l'immagine dorsale dell'uomo in posizione supina: questo andrebbe posto in alto su uno spesso piano di materiale trasparente. Ma un piano di vetro, nel Medio Evo, non avrebbe potuto reggere il peso così a lungo, e d'altronde la plastica non era ancora stata inventata. Infine, l'artista, per quanto splendidamente veloce e preciso potesse essere, per completare l'opera avrebbe impiegato un periodo di tempo nel quale sarebbe cessato il rigor mortis ed iniziata la putrefazione. Come ricorda la nota artista americana Isabel Piczek, «esistono limiti insormontabili quanto alla dimensione dell'opera d'arte che un artista può produrre. Nessun artista, in nessuna epoca, ha realizzato un dipinto lungo 4,36 metri che presentasse le qualità visive dell'immagine della Sacra Sindone». Inoltre, la stessa artista ricorda l'esistenza di tre paradossi che non possono essere generati da un alcun pittore: «l'assenza totale di scorcio; la prospettiva apparente dell'immagine frontale e dorsale, senza fonte luminosa; una concezione contraria allo spazio, espressa in modo spettacolare sulla Sacra Sindone e che non avrebbe potuto essere incorporata in un dipinto» [10].
Passiamo ora all'ipotesi Picknett-Prince: la loro teoria è stata ripresa in Italia dalla regista televisiva Maria Consolata Corti [11], alias Vittoria Haziel. Ma mentre i due scrittori inglesi ipotizzano l'uso della "maionese" come ingrediente per sensibilizzare la tela, e l'uso di raggi UV per simulare il «caldo sole italiano», proponendo come commitente dell'opera a Leonardo da Vinci la stessa Chiesa cattolica, desiderosa di avere una falsa Sindone ma più bella della precedente, la Corti si accontenta di ingredienti più tradizionali: sangue, sudore, olii aromatici e siero umano. Leonardo avrebbe «riprodotto l'Uomo-Dio dandogli le proprie sembianze [servendosi] di un tessuto antico e orientale dipingendolo con una tecnica misteriosa». La stessa regista suggerisce di scovare tra le migliaia di impronte digitali presenti sulla Sindone quella del grande genio... Per la Corti tuttavia, committente dell'opera sarebbe stato il sultano ottomano Bayazid II, succeduto nel 1481 al padre Maometto II che aveva assaltato e conquistato Costantinopoli nel 1453. Peccato che la Corti si sia dimenticata di dare una dimostrazione storicamente valida e convincente del motivo per il quale un sultano ottomano avesse ordinato a Leonardo una Sindone con la figura di Gesù.
In entrambi i casi, le due ipotesi appena confutate si appoggiano su una solida negazione: dal momento che la Sindone di Torino coincide con quella di Lirey, consegnata alla famiglia Savoia il 22 marzo del 1453, data nella quale Leonardo era ancora nella culla, e la stessa Sindone, con tanto di doppia immagine descritta nelle cronache era in giro per la Francia da oltre un secolo, Picknett-Prince e la Corti si avvalgono del lungo periodo di tempo occorso tra la consegna ai Savoia e l'esposizione di Vercelli, avvenuta nel 1493 (quindi 40 anni dopo) per imbastire l'avvincente trama della sostituzione. A qualcuno evidentemente non piaceva l'immagine sul telo, quindi avrebbe ordinato l'esecuzione di una nuova Sindone, più nuova e più bella, facendo appositamente costruire la Sainte-Chapelle, nella quale la Sindone venne posta nel 1502.
Per quanto riguarda la proposta di Allen, l'ipotesi di un cadavere appesa per giorni al sole è assurda, non fosse altro perché il "rigor mortis" non sarebbe durato così a lungo. Ma anche l'utilizzo di un manichino non è proponibile: ancora la Piczek ricorda come nel Medio Evo nessuno avrebbe potuto realizzare un statua così corretta dal lato anatomico.

Riassumiamo in una tabella le conclusioni riguardanti l'eventuale presenza di pigmenti pittorici sul telo sindonico:

Risultati ottenuti da McCrone Risultati ottenuti da Heller-Adler
Proteine animali. Test utilizzato: nero d'amido. Poco affidabile Sangue intero coagulato. Tests utilizzati: fluoroscamina e verde di bromocresolo in unione ad altri complessi tests. Impossibile ottenere macchie simili applicando sangue fresco con un pennello
La figura del corpo è stata realizzata mediante l'uso di ferro Esami spettroscopici e a raggi X hanno mostrato una concentrazione uniforme di ferro nelle zone di immagine e di non-immagine
  L'ossido di ferro è assente sia dalle zone d'immagine che dalle macchie di sangue. Inoltre non contiene tracce di elementi utilizzati nei pigmenti di pittura minerale
Il rosso che assomiglia al sangue è causato dalla presenza di cinabro La fluorescenza ai raggi X non ha rilevato la presenza di alcun pigmento di pittura

 

[1] Nel 1987 furono resi noti i risultati di nuovi esami eseguiti da Thomas A. Cahill, fisico dell'Univ. di California a Davis, il quale con un acceleratore di particelle, tramite la fluorescenza a raggi X, aveva constatato che il titanio era presente solo in tracce, il che non contrasta con l'autenticità del documento. Ulteriori studi che tentavano di negare l'origine medievale della mappa, sono state confutati da Jaqueline Olin, un membro del comitato consultivo dello Smithsonian Center per le Ricerche e Educazione di Washington, D.C., nell’edizione n.1 di Dicembre 2003 di Analytical Chemistry.
Lo studioso ha dedicato parte del suo sito alle sue ricerche compiute sulla Sindone: http://www.mcri.org/Shroud.html
[2] Lo Sturp (=Shroud of Turin Research Project) è un progetto con sede in Colorado che ha come obiettivo l'analisi scientifica della Sindone. Le polemiche (Heller ed Adler affermarono che il microchimico aveva confuso i vetrini) seguite alla consegna dei nastri tra Rogers e McCrone, porteranno il primo ad abbandonare il progetto. http://www.shroudofturin.com/
[3] Secondo le parole dello stesso autore in una sua successiva pubblicazione, edita all'indomani dell'esame del radiocarbonio e nonostante la teoria di McCrone fosse stata da tempo demolita dagli scienziati dello Sturp: The Shroud unmasked, The Lamp Press 1988, p. 64.
[4] La S. Sindone. Ricerche e studi della commissione di esperti nominata dall'Arc. di Torino, Card. Michele Pellegrino nel 1969, suppl. alla "Rivista Diocesana Torinese", Torino 1976, pp. 87-92.
[5] "Journal of Imaging Science and Technology", vol. 34, n. 1, gennaio-febbraio 1994, pp. 59-67.
[6] Picknett L.- Prince C.: Turin Shroud, Harper Collins, New York 1994.
[7] Allen N.: The Turin Shroud and the Crystal Lens, Empowerment Technologies Pty Ltd, Porth Elizabeth, South Africa 1998.
[8] Pietri V.: "Le ipotesi insostenibili", in La Sindone. Certezze scientifiche, s.d. 1989, p. 52.
[9] L'intento di realizzazione di una copia non era quello di ingannare sprovveduti fedeli spacciandola come autentico lenzuolo funerario di Gesù: tant'è vero che spesso c'è scritto sopra quando è stata realizzata e che ha toccato l'originale. Rivelava invece soltanto uno scopo devozionale: il desiderio di poter pregare davanti a quella sacra sembianza in un'epoca in cui non esisteva la fotografia.
[10] Identificazione scientifique de l'Homme du Linceul: Jésus de Nazareth, Atti del Simposio scientifico internazionale di Roma 1993, O.E.I.L. - F.-X. de Guignebert, Parigi 1995, pp. 265-271.
[11] Oggi, n. 13, 29 marzo 1993, pp- 46-48.

 


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    Pagina completata il 29/12/2005
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